Il contributo unificato negli appalti pubblici. Nota a sentenza.

25
Set

Con la sentenza n. 3168 del 2020 la Commissione Tributaria Provinciale di Roma ha annullato l’invito di pagamento del contributo unificato relativo a un procedimento innanzi al TAR Lazio, ritenendo che, nel caso di specie, la proposizione di motivi aggiunti contro un provvedimento successivo a quello originariamente impugnato non abbia determinato un ampliamento dell’oggetto del giudizio.

Accogliendo la prospettazione della ricorrente, si è ribadito il principio, di matrice comunitaria, secondo il quale nel caso di impugnazione con motivi aggiunti di atti relativi alla medesima procedura di gara non sia dovuto alcun ulteriore contributo, aggiuntivo a quello versato all’atto del deposito del ricorso principale. Questo arresto è la -ennesima- conferma di quanto già oggetto persino di un giudizio pregiudiziale dinanzi alla Corte di giustizia sollevato dal TRGA di Trento e conclusosi con la sentenza del 6 ottobre 2015 (causa C-61/14), nella quale era stato affermato il principio secondo cui il pagamento del contributo unificato non deve essere richiesto qualora i motivi aggiunti non comportino alcun considerevole ampliamento dell’oggetto del ricorso.

Il principio è chiaro: il contributo unificato, in caso di proposizione di motivi aggiunti, non è connesso in modo automatico all’impugnazione di atti ulteriori e distinti da quelli già impugnati, ma al criterio dell’ampliamento della domanda, da rilevarsi nel caso concreto.

Lo stesso principio era già stato ripreso e fatto proprio dalla giurisprudenza amministrativa (ex multis, Tar Catania, 31 gennaio 2018, n. 262) e soprattutto da quella tributaria (tra le tante, Commissione tributaria Provinciale di Genova, 23 febbraio 2017, 346; Commissione tributaria Provinciale di Firenze, 13 novembre 2017, 1126; Commissione tributaria Provinciale di Firenze, 13 luglio 2019, 635; Commissione tributaria Provinciale di Genova, 5 marzo 2019, 147; Commissione tributaria Provinciale di Milano, 4 aprile 2019, 1550).

Con la sentenza citata da ultimo si è statuito che ” Il pagamento del contributo unificato per l’iscrizione a ruolo di ricorsi per motivi aggiunti al ricorso principale, infatti, non è dovuto quando il provvedimento impugnato è il medesimo – ovvero – quando il ricorso per motivi aggiunti non amplia il “thema decidendum”. 

In questi termini si è espressa la Corte di Giustizia dell’Unione Europea in ossequio dell’articolo 1 della direttiva 89/665/CEE del Consiglio, del 21 dicembre 1989 allor quando si esprime nel senso che “… non ostano a una normativa nazionale che impone il versamento di tributi giudiziari, come il contributo unificato oggetto del procedimento principale, all’atto di proposizione di un ricorso in materia di appalti pubblici dinanzi ai giudici amministrativi, quando il provvedimento impugnato è il medesimo – ovvero – quando il ricorso per motivi aggiunti, appunto, non amplia il “thema decidendum”. In ragione di ciò, prosegue la sentenza del Giudice Europeo: “… Il giudice nazionale, se accerta che tali oggetti non sono effettivamente distinti o non costituiscono un ampliamento considerevole dell’oggetto della controversia già pendente, è tenuto a dispensare l’amministrato dall’obbligo di pagamento di tributi giudiziari cumulativi.”.

Or bene non vi è dubbio che:

– trattasi di motivi aggiunti al ricorso principale ove le parti sono le stesse;

– i motivi aggiunti al ricorso principale sono stati semplicemente allegati/depositati al ricorso principale senza che per questo abbiano ricevuto un altro e distinto numero di Registro Generale che, invece, è rimasto sempre lo stesso (ndr. N. 2739/2017 del R. G), il che sta ad indicare anche dal punto di vista amministrativo che i due motivi aggiunti al ricorso principale e il ricorso principale stesso costituiscono “un unicum” quesito posto all’attenzione del giudice amministrativo (ndr. Tar del Lazio) e quello tributario;

– che financo la Corte di Giustizia Europea per la causa iscritta al C/61/14, ha emesso la sentenza del 6.10.2015, che ha stabilito il principio secondo il quale: “… il giudice è tenuto a dispensare l’amministrato dall’obbligo di pagamento di tributi giudiziari cumulativi qualora i ricorsi presentati (ovvero i motivi aggiunti) non siano effettivamente distinti o non costituiscano un ampliamento considerevole dell’oggetto della controversia pendente …

– Ma ancor prima con l’avvento dell’articolo 1 della direttiva 89/665, come modificata dalla direttiva 2007/66, nonché i principi di equivalenza e di effettività non ostano né alla riscossione di tributi giudiziari multipli nei confronti di un amministrato che introduca diversi ricorsi giurisdizionali relativi alla medesima aggiudicazione di appalti pubblici né a che tale amministrato sia obbligato a versare tributi giudiziari aggiuntivi per poter dedurre motivi aggiunti relativi alla medesima aggiudicazione di appalti pubblici, nel contesto di un procedimento giurisdizionale in corso.

– Tuttavia, nell’ipotesi di contestazione di una parte interessata, spetta al giudice nazionale esaminare gli oggetti dei ricorsi presentati da un amministrato o dei motivi dedotti dal medesimo nel contesto di uno stesso procedimento. Il giudice nazionale, se accerta che tali oggetti non sono effettivamente distinti o non costituiscono un ampliamento considerevole dell’oggetto della controversia già pendente, è tenuto a dispensare l’amministrato dall’obbligo di pagamento di tributi giudiziari cumulativi.

Non può sottacersi, infine, che con la sentenza 6 ottobre 2015, causa C-61/14 Corte di Giustizia UE, laddove il comma 13 dispone il versamento del contributo unificato, subordina tale onere alla circostanza che con i motivi aggiunti l’amministrato ponga in essere “domande nuove”. Ipotesi, questa che non rileva e non ricorre nella fattispecie in esame, atteso che i motivi aggiunti depositati dalla ricorrente non hanno modificato alcunché rispetto al ricorso principale, né propongono “domande nuove” (Commissione tributaria Provinciale di Milano, 4 aprile 2019, 1550 cit.).

La Commissione tributaria Roma si è espressa in coerenza con la pronuncia della Corte di giustizia e con i molteplici arresti nazionale, ribadendo che affinché l’amministrato possa ritenersi obbligato al pagamento di tributi giudiziari cumulativi deve necessariamente accertarsi che l’oggetto non solo sia ampliato ma anche considerevolmente, escludendo pertanto ogni automatismo per il quale l’impugnazione di ciascun atto ulteriore costituisce anche ampliamento considerevole.

 

Sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Roma n. 3168/2020